CERTOSA DI SAN LORENZO
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La certosa di Padula, o di San Lorenzo è una certosa situata a Padula, nel Vallo di Diano, in provincia di Salerno. Si tratta della prima certosa ad esser sorta in Campania. La costruzione della Certosa di Padula c’è stata grazie a Tommaso Severino conte di Marsico e signore di Vallo di Diano il 28 gennaio 1306. Lui donò all’ordine religioso il complesso monastico appena edificato. Nacque il secondo luogo certosino nel sud Italia dopo la certosa di Serra San Bruno in Calabria. La certosa viene chiamata di San Lorenzo perché in quell’area vi era una chiesa dedicata al santo che venne abbattuta per la costruzione della certosa. Il luogo in cui venne costruita la certosa risultò un punto strategico ed era al centro di molte lotte. Nel 500 la certosa divenne meta dei pellegrinaggi e Carlo V vi si fermò col suo esercito dopo la guerra e in quell’occasione i monaci prepararono la tradizionale frittata delle mille uova. Nel 1583 la certosa andò incontro a molti cambiamenti con Damiano Festini tant’è che la certosa dovette allargarsi. Caduti i Sanseverino nella metà del 600 i loro possedimenti andarono ai monaci certosini di Padula e i monaci divennero così i padroni di alcuni terreni e disponendo del denaro che la gente dava al priore per pagare le tasse si apre così un periodo prospero per il complesso di San Lorenzo. La certosa venne modificata per due volte: la prima nel 600 quando gli elementi in gotico vennero ricostruiti secondo l’ordine barocco e un’altra volta quando vennero costruiti il chiostro grande, il refettorio e lo scalone ellittico del retro. Nel 1807 i monaci dovettero abbandonare la certosa che era destinata a diventare una caserma. Molte opere vennero rubate e per ridare prestigio alla certosa vennero commissionate altre opere e messe nel refettorio che infatti era l’unica ambientazione ricca artisticamente. I monaci però non riuscirono mai ad avere di nuovo lo stesso ruolo che ricoprivano nei secoli scorsi ovvero il comando della certosa . Dopo l’unità d’Italia l’ordine fu soppresso e i monaci dovettero lasciare di nuovo la certosa che venne dopo vent’anni dichiarata monumento nazionale. Nelle due guerre mondiali dato che il luogo era abbandonato venne utilizzato come prigione. Alcune sale ospitano il museo archeologico della Lucania occidentale dove vi sono reperti che provengono dagli scavi delle necropoli di Sala Consilina e Padula.
Grotte dell’Angelo di Pertosa-Auletta
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Sorge a km 2 a sud dell’abitato alla sinistra del fiume Tanagro. Detta anche dell’Angelo (o di S. Michele), è l’antico percorso sotterraneo di un fiume, che forma un sistema di caverne e gallerie, con uno sviluppo di oltre km 2, in parte occupato dalle acque di un laghetto. Nel 1897 vi si fecero ricerche scientifiche, ritrovandovi avanzi di due palafitte, oggetti neolitici e dei periodi seguenti. Risultò che la grotta, occupata dall’acqua nel neolitico, fu abitata con la costruzione di palafitte; lo fu anche nell’eneolitico; poi, ma non più su palafitte, ebbe abitatori nell’età del bronzo e nella prima età del ferro. Venne frequentata nel periodo lucano-greco e romano; verso la metà del sec. XI vi cominciò il culto cristiano. I primi abitanti erano probabilmente di razza mediterranea. L’ingresso, a quota 264, è alto 20 metri, largo 15. Si entra nella grotta su un terrapieno lungo circa 50 metri, in fondo al quale è una zattera su cui si compie la visita della prima caverna. Dalla volta pendono numerose stalattiti che si specchiano nelle acque. Approdati alla prima Sala, in cui scroscia una pittoresca cascata, la grotta si divide in tre rami principali: il Braccio della Sorgente, e percorribile fino al Paradiso, ricco di concrezioni, da cui si diramano alcuni cunicoli; il Braccio Centrale, disadorno e di scarso interesse, cosparso di frane antiche e recenti; il Braccio Principale, che presenta varie diramazioni, cunicoli bassi e stretti, ornati di ricchissime concrezioni, eleganti e fragili, che contrastano con quelle più robuste della galleria principale. Questa è tutto un seguito di scenografici quadri costituiti da cascate di stalattiti che si intrecciano alle colonne delle stalagmiti. La lunghezza complessiva delle gallerie finora esplorate è di m 2560 circa.
Battistero di San Giovanni in Fonte
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Il Battistero paleocristiano di San Giovanni in Fonte fu eretto nel IV secolo d. C. ed è situato a Padula, a poca distanza dalla Certosa di San Lorenzo. E’ uno dei più antichi battisteri cristiani di tutto l’occidente. Esso anticamente faceva parte del borgo di Marcellianum, suburbio dalla Civita di Cosilinum (oggi Padula e non Sala Consilina come si potrebbe credere) nella regione della Lucania e dei Bruzii. Inoltre Marcellanium era sede di una importante fiera che si svolgeva ogni anno il 14 o il 16 di settembre, in occasione della festa di San Cipriano e che richiamava gente da tutta la Lucania ed oltre. Fu chiamato così in onore di Papa Marcello che nel corso del suo breve pontificato (308-309) riprese il difficile programma di dare una organica sistemazione religiosa al territorio, interrotta dalla feroce persecuzione di Diocleziano. Papa Marcello nel quadro di una estensione dell’organizzazione della chiesa cattolica istituì nuove diocesi, nominò altri vescovi e favorì la costruzione di un battistero per ogni diocesi. L’unicum di questo monumento è rappresentato dal fatto che la vasca battesimale, anzichè essere riempita artificialmente come di solito avveniva negli altri edifici, riceveva l’acqua in maniera naturale perchè realizzata su una sorgente perenne, permettendo il battesimo per immersione. Questo rende il Battistero paleocristiano di San Giovanni di Marcellianum unico nel mondo della cristianità. Il fatto, già singolare, diveniva miracoloso quando ogni anno puntualmente, durante la notte di Pasqua, riservata ai battesimi, la sorgente si gonfiava e l’acqua riempiva la vasca. Il prodigio richiamava folle di fedeli sempre più numerosi, desiderosi di assistere al miracolo delle acque. Proprio questo prodigio faceva di Marcellianum un luogo santo, meta di pellegrini in cerca di segni divini. Le fonti: In una lettera indirizzata dallo statista ed erudito lucano Cassiodoro al re Atalarico nel 527 per chiedere l’intervento dell’autorità pubblica al fine di ristabilire l’ordine, poichè in occasione della fiera di quell’anno si erano verificati gravi disordini che avevano impedito il regolare svolgimento delle negotiationes con danno degli abitanti della regione e dei negotiatiores colà convenuti dalla Campania, dall’Apulia, dal Bruzio e dalla Calabria, Cassiodoro stesso dà una descrizione del posto e accenna al miracolo delle acque che crescevano miracolosamente durante la veglia pasquale. Il borgo di Marcellianum fu abbandonato probabilmente intorno al VI secolo a causa della guerra greco-gotica e la successiva invasione longobarda, oppure, secondo un’altra ipotesi, nel IX secolo a seguito delle incursioni saracene. Il battistero passò ai benedettini, che gli diedero l’attuale nome e poi ai cavalieri dell’ordine dei Templari. L’edificio originario è a pianta quadrata con arcate in mattoni e corrisponde all’ambiente in cui si trova la grande vasca battesimale fiancheggiata da due ambulacri, mentre le altre strutture, come la cappella ed il portico, sono di epoca posteriore. Nella cappella si possono vedere i resti di affreschi raffiguranti gli apostoli, probabilmente di matrice bizantina.
Teggiano
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Monte Cervati
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on può mancare la salita a questa montagna: il monte Cervati (nel territorio comunale di Sanza) è il più alto della Campania con i suoi 1899 metri. La natura geologica del massiccio mostra la morfologia caratteristica di un ambiente carsico, con inghiottitoi, sorgenti freschissime e corsi d’acqua temporanei. Il massiccio mostra le sue pareti a strapiombo, incise da profondi canaloni e numerosi torrioni e guglie, spettacolari e caratteristiche, proprio dal versante di Piaggine, con ai piedi i boschi misti e le faggete che si aprono di tanto in tanto in radure ricche di vegetazione e verdissime (o bianchissime in inverno). Dalla vetta si possono osservare il Vallo di Diano e il massiccio del monte Motola (1700 m), oppure il Monte Sacro e il mare. Sulla cima del Cervati vi sono una cappella e una grotta dedicate alla Madonna della Neve.
Roscigno, il “paese che cammina”
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I continui smottamenti del terreno, iniziati nel ‘500, hanno costretto a spostare più volte l’ubicazione del borgo. Tra i monti Alburni, territorio carsico, l’acqua domina il paesaggio e pure il sottosuolo. Le frane sono frequenti, le strade spesso incerte. Oggi il paese sorge in zona sicura, ma la sua anima vive ancora a Roscigno Vecchia, distante 2 km. E forse anche il suo futuro, legato alle nuove forme di turismo.
Roscigno vecchia, la ”Pompei del Novecento”
Così la definì Onorato Volzone, giornalista de Il Mattino, quando nel 1982 scoprì il borgo in abbandono ed avviò la discussione sulla sua valorizzazione. Come gli antichi pompeiani, anche i roscignoli fuggirono alla forza della natura. Solo che la fuga è stata molto più lenta, durata quasi un secolo, da quando due ordinanze del Genio Civile, nel 1907 e 1908, stabilirono lo sgombero del paese e la costruzione di nuove case piú a monte. Ma buona parte degli abitanti non voleva la lasciare la propria dimora, non vedeva grandi rischi e, soprattutto, non aveva denaro sufficiente per costruire nuove case. In molti partirono per le Americhe e la Svizzera. A metà degli anni Sessanta, poi, i pericoli delle frane divennero evidenti. Gli emigrati, intanto, iniziarono ad inviare i propri risparmi ai parenti. Era giunto il momento di trasferirsi.
Roscigno vecchia, il “Paese-Museo”, patrimonio mondiale Unesco
Giornalisti e passaparola hanno portato i turisti nel borgo fin dagli anni ’80, quando nacque la Pro Loco ed il Museo della Civiltà Contadina. Primo del suo genere in Campania ed uno fra i più interessanti del Sud Italia, il Museo ha sede in sei sale dell’ex-municipio e dell’ex canonica ed è stato allestito da Maria Laura Castellano, storica dell’arte che da oltre 25 anni si occupa di Roscigno vecchia. Attraverso foto, utensili e testimonianze varie, ogni sala racconta un ciclo lavorativo: dell’uva e del vino, dell’olivo e dell’olio, dell’allevamento e dell’attività casearia, della lavorazione dei campi e della lana, del grano e del pane.
Tutto racconta di sacra lentezza, vita armonizzata con la natura, rispetto dell’ambiente, degli animali e del lavoro.
Ma la civiltà contadina del Sud non rivive soltanto all’interno del Museo: Roscigno vecchia è un vero e proprio Paese-Museo.
Cosa rara, il borgo non è stato intaccato dalla modernità, conservando i tratti urbanistici ed architettonici di un centro agro-pastorale sette-ottocentesco. Per tutti questi ed altri motivi, nel 1998 Roscigno Vecchia è stata inserita nella lista dei siti patrimonio Unesco, insieme al Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, l’area archeologica di Paestum e la certosa di Padula. E non a caso il borgo è stato usato come set cinematografico per videoclip e film, tra cui “Cavalli si nasce” di Sergio Staino, “Radio West” di Alessandro Valori e “Noi credevamo” di Mario Martone. Anche le telecamere di National Geographic sono state di recente qui, suscitando curiosità e interesse in tutto il mondo.